Approfondimenti
Cenni di Pepe (Pepo), chiamato Cimabue (Firenze, 1240 – Firenze, 1302) forse per il forte orgoglio, nasce a Firenze nel 1240 ma la data non è certa come del resto la sua biografia e la relativa cronologia delle opere.
Inizia all’interno della bottega di Coppo di Marcovaldo.
Sua prima opera del 1265 è il crocifisso della chiesa di San Domenico in Arezzo.
Dal viaggio a Roma tra il 1270-75 risale l’elaborazione di uno stile personale che parte dalla reazione all’arte bizantineggiante, della maniera greca, diffusa in quel periodo a Firenze e in altre parti d’Italia.
Cimabue inserisce nelle sue opere delle figure idealizzate, ieratiche di stampo bizantino soggetti con umanità ed emotività.
Opere importanti sono gli affreschi in Assisi eseguiti nel periodo 1277-1280, il crocifisso di Santa Croce, la Maestà del Louvre del 1280 circa e la Maestà di Santa Trinita eseguita tra il 1290 e il 1300.
Cimabue trascorre gli ultimi anni a Pisa dove muore nel 1302.
Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2908&biografia=Cimabue
Giotto da Bondone, meglio noto semplicemente come Giotto (Colle di Vespignano, 1267 – Firenze, 1337), nasce probabilmente nell’anno 1267, a Colle di Vespignano, presso Vicchio, nel Mugello. Pittore, architetto, scultore, è una delle massime figure dell’arte non solo italiana, ma dell’intero Occidente. E’ ricordato per aver dato un senso del tutto nuovo ai concetti di colore, spazio e volume, “riprendendo” e immortalando i suoi soggetti direttamente dalla realtà, “dal naturale”, come si diceva un tempo. La sua arte segna il passaggio dal Medioevo all’Umanesimo, di cui può ben dirsi il traghettatore, almeno per tutto quanto attiene l’arte figurativa.
Uomo d’affari ed imprenditore, il suo nome è legato alla città di Firenze, di cui diviene, nel 1334, “Magistrum et gubernatorem”, per quanto riguarda il lavori del duomo e delle parti più importanti della città.
Di famiglia contadina, il suo nome deriverebbe con ogni probabilità da Angiolotto, o al limite da Ambrogiotto, due nomi all’epoca molto usati. Suo padre è Bondone di Angiolino, lavoratore della terra, secondo le cronache dell’epoca. Prendendo per buona la testimonianza di un grande storico dell’arte come Giorgio Vasari, l’allora maestro Cimabue l’avrebbe scovato, ragazzino, nel tentativo di disegnare delle pecore, durante una delle sue giornate di lavoro al campo. In verità, appare ormai certa l’iscrizione del futuro artista nella potente “Arte della lana di Firenze”, dopo l’inurbamento della sua famiglia, di cui si attesta la venuta nella parrocchia di Santa Maria Novella.
Ad ogni modo, intorno ai dieci anni, il piccolo Giotto comincia già a frequentare la bottega di Cimabue, dove di lì a poco suo padre finirà per collocarlo in pianta stabile.
Tra il 1285 e il 1288, è molto probabile che l’artista, durante i suoi studi, abbia soggiornato per la prima volta a Roma, forse al seguito del suo maestro Cimabue o, come scrivono alcune cronache, insieme con Arnolfo da Cambio, altra figura importante a quel tempo.
L’influenza di Cimabue è evidente in quelle che sono considerate le prime opere dell’allievo: la “Croce dipinta” di Santa Maria Novella, compiuta tra il 1290 e il 1295, con il volto del Cristo dai lineamenti tardo bizantini, e nella “Madonna col bambino”, conservata nella pieve di Borgo San Lorenzo, databile anch’essa intorno al 1290.
In questo stesso periodo, Giotto sposa tale Ciuta, da Ricevuta, di Lapo del Pela di Firenze. La data di nozze con tutta probabilità dovrebbe essere il 1290, ma non ci sono certezze in merito. Con la donna il pittore avrà otto figli, anche se alcune cronache gliene attribuiscono cinque (quattro femmine e un maschio).
Verso il 1300, dopo alcuni probabili pernottamenti anche ad Assisi, Giotto fa ritorno a Firenze. Realizza nell’arco di un biennio le opere “Il polittico di Badia” e la tavola firmata con le “Stigmate di San Francesco”. Frequenti sono i suoi ritorni nella capitale, dove attende ai lavori del ciclo papale nella Basilica di San Giovanni in Laterano, oltre ad occuparsi di altre decorazioni, preparando la città ad accogliere il Giubileo del 1300, indetto da Papa Bonifacio VIII. È, forse, uno dei periodi di massimo splendore e slancio artistico per il pittore toscano.
Dal 1303 al 1305 è a Padova, chiamato a realizzare l’affresco della cappella di Enrico Scrovegni. La “chiamata” ricevuta al Nord, testimonia la grande considerazione che gode a quel tempo l’artista, considerato ormai nettamente superiore al suo maestro Cimabue. Come dirà lo stesso Dante Alighieri nella “Divina Commedia”: “Ora Giotto ha il grido”.
Intorno al 1311, ritornato a Firenze, dipinge una delle opere più importanti della sua carriera di artista: la “Maestà” degli Uffizi. Collocata originariamente nella chiesa fiorentina di Ognissanti, l’opera esprime tutta la grande modernità dell’artista, in procinto di stabilire un nuovissimo rapporto con lo spazio, come testimonia la prospettiva del trono.
Tra il 1313 e il 1315 cerca di assicurarsi alcuni affari importanti, come certi appezzamenti di terreno da un tale ser Grimaldo, di cui si lamenta in alcune lettere, o nominando un procuratore per riavere delle masserizie lasciate nella capitale anni prima, non ancora ritornate all’ovile. Dipinge intanto, probabilmente entro il 1322, la Cappella Peruzzi, sita in Santa Croce a Firenze. È ormai un uomo ricco, non vi sono dubbi su questo, che cura con astuzia le proprie finanze e che, nei momenti di assenza dalla sua città, affida al figlio Francesco il compito di gestire i suoi affari, dai poderi alle committenze di lavoro.
Tra il 1322 e il 1328 inoltre realizza il Polittico Stefaneschi alla Pinacoteca Vaticana, Il Polittico Baroncelli e l’affresco a secco delle “Storie Francescane” della Cappella Bardi, sita in Santa Croce, sempre a Firenze. Il lavoro per Baroncelli rappresenta una vera e propria testimonianza di vita trecentesca ed è notevole: una delle sue migliori realizzazioni. Quello per la famiglia Bardi, banchieri importanti della città, consta di sette riquadri, incentrati su alcune scene tratte dalla vita di San Francesco.
Nello stesso 1328 Giotto si trasferisce nella città di Napoli. Durante questo periodo compie diversi studi e lavori, percependo da Roberto d’Angiò una somma di denaro importante, oltre al beneficio dell’esenzione fiscale. Tuttavia, del periodo napoletano non rimane nulla. Intorno al 1333 Giotto soggiorna anche a Bologna, di ritorno dal Meridione. Nel 1334, a Firenze, ove rientra, le autorità cittadine lo nominano capomastro nell’Opera di Santa Maria del Fiore, oltre che Soprintendente assoluto alle opere del Comune. In pratica, gli viene affidato il Duomo fiorentino, oltre che la costruzione delle mura della città, con uno stipendio di circa cento fiorini all’anno.
Il 18 luglio del 1334, dà inizio al campanile da lui disegnato, che prenderà il suo stesso nome, per quanto la realizzazione finale non risponderà fedelmente ai suoi voleri iniziali. Il giorno 8 gennaio del 1337 Giotto muore a Firenze: viene sepolto con grandi onori in Santa Reparata (Santa Maria del Fiore), a spese comunali.
Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2800&biografia=Giotto
Il Masaccio (San Giovanni Valdarno, 21 Dicembre 1401 – Roma, 1428) è un celebre pittore italiano ed è considerato uno dei padri del Rinascimento. All’anagrafe l’artista è Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai e nasce a Castel San Giovanni di Altura (oggi San Giovanni Valdarno) il 21 dicembre 1401. Come testimonia il Vasari, è attratto dall’arte fin da giovanissimo. All’età di 16 anni si trasferisce a Firenze, dove è in corso una rivoluzione artistica e culturale, grazie soprattutto al lavoro di Brunelleschi e Donatello.
I maestri sono un punto di riferimento per il Masaccio, non solo perché tra loro s’instaura un rapporto di vera amicizia, ma perché resta affascinato e completamente impressionato dalle loro opere, così innovative. La pittura del ‘400 fino a quel momento, infatti, ha uno stile tardo gotico e Masaccio non si sente per nulla interprete di questa tendenza. Prende spunto dall’arte di Giotto, dalla costruzione prospettica di Brunelleschi, dalla forza plastica di Donatello per creare uno stile suo e rendere i suoi soggetti così reali, da sembrare veri.
Il primo maestro del Masaccio, però, è un artista sconosciuto ma fondamentale per la sua formazione. Si tratta del nonno, specializzato nella realizzazione di cassoni nuziali. La famiglia di Masaccio è abbastanza abbiente, infatti, il padre ser Giovanni di Mone Cassai (il cognome deriva proprio da casse di legno, l’attività del nonno) è un notaio. Purtroppo l’uomo muore a soli 27 anni, mentre la moglie è in attesa del secondo figlio. Dopo qualche anno, Monna Piera de’ Bardi (la mamma del Masaccio) si sposa nuovamente con Tedesco di Mastro Feo, un vedovo con due figlie molto ricco.
La sua è una famiglia di artisti. Il fratello Giovanni (chiamato così in onore del papà defunto) diventa un pittore, mentre la sorellastra si sposa con un pittore locale, Mariotto di Cristofano, che vive e lavora a Firenze. Si crede, infatti, che Masaccio scelga di trasferirsi in questa città nel 1418 proprio grazie alla vicinanza del cognato.
Il 7 gennaio 1422, il Masaccio decide di iscriversi all’associazione Arte dei Medici e Speziali (una delle sette arti maggiori delle corporazioni fiorentine). Il primo lavoro attribuibile all’artista è il “Trittico di San Giovenale” del 23 aprile 1422, mentre un paio d’anni più tardi si possono ammirare la “Madonna col Bambino e Sant’Anna”, questi lavori testimoniano la collaborazione con Masolino, da cui il Masaccio dovrebbe aver fatto un po’ di praticantato. Sempre in questi anni Masaccio e Masolino si occupano insieme del “Trittico Carnesecchi” per la cappella di Paolo Carnesecchi nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Firenze. Purtroppo, di questo lavoro sono rimasti solo “Il San Giuliano” e una tavoletta della predella con “Storie di San Giuliano”.
La squadra Masaccio-Masolino (il sodalizio artistico dà frutti importantissimi per l’epoca) ottiene molti successi a Firenze, tanto che nel 1424 sono ingaggiati per la decorazione della Cappella Brancacci. Bisogna attendere il 1425 per avere testimonianza di una bottega del Masaccio. Circa un anno dopo, i Carmelitani di Pisa assegnano al pittore un lavoro molto importante: la realizzazione di un polittico per la cappella del notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto nella chiesa di Santa Maria del Carmine.
L’opera è composta da 25 pannelli, che sono stati sparsi in diversi musei. Per ammirare la “Madonna in trono con Bambino” (il pannello centrale) bisogna, oggi, recarsi a Londra alla National Gallery. È un’immagine bellissima e con un punto di vista molto reale e ribassato. La Vergine protegge il suo Bambino mentre sta mangiando un acino d’uva, che dovrebbe simboleggiare la futura Passione. Sempre a Londra, c’è anche la pala di Sant’Anna Metterza (ovvero la “Madonna col Bambino e Sant’Anna”).
Al museo Nazionale di Capodimonte di Napoli è ospitata “La Crocifissione”. Qui l’evento sacro è estremamente realistico, lo si nota da capo di Cristo abbandonato alla morte. L’opera che maggiormente segna la maturazione di Masaccio, ed è anche l’ultima per importanza, è l’affresco con la Trinità in Santa Maria Novella, realizzata tra il 1426 e il 1428. In questo lavoro si legge l’ispirazione del Brunelleschi: le regole prospettiche qui non sono così rigide. Il Masaccio quindi da artista del vero (inteso come realistico) si trasforma in un interprete del mistico e soprattutto del divino.
Dopo aver trascorso un periodo a Pisa, Masaccio si trasferisce a Roma. Qui muore nell’estate del 1428, giovanissimo. Ha solo 27 anni, proprio come suo padre. Si dice sia stato avvelenato da un suo rivale, ma non c’è prova di questo fatto. Viene sepolto, diversi anni dopo, nel 1443, a Firenze nella chiesa del Carmine.
Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=3046&biografia=Masaccio